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Caterina ed i cetrioli di mare

  • Immagine del redattore: Simona
    Simona
  • 26 lug 2015
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 8 dic 2020


Durante il pranzo di un giorno molto luminoso, ma senza sole, mio padre ci disse:” Oggi è proprio il giorno adatto per fare una passeggiata dentro il mare! Sta cominciando a scendere la marea ed essendo giorno di luna nuova l’acqua sarà così bassa che potremo addentrarci parecchio a raccogliere conchiglie. Fate un breve sonnellino, giusto il tempo che finisca di calare e poi via a passeggio. “

Era la prima volta che potevamo andare così a largo, ma quanto ancora non lo sapevamo. Così quando la mamma ci venne a chiamare eravamo tutte e tre molto curiose ed ansiose di questa piccola avventura. Il cielo aveva uno strano colore come quando si scioglie il gelato di vaniglia mischiato ad un po’ di pistacchio. Mamma ci disse di venire in maglietta, ma scalze o al massimo con le scarpette per gli scogli, armate di secchiello e se avevamo paura di prendere le conchiglie ed i paguri con le mani di portare anche la paletta. Quando cominciammo a camminare in realtà correvamo verso il mare aperto; volevamo arrivare prima il più a largo possibile in modo che potessimo raccogliere le conchiglie più belle. Mamma e papà a stento ci stavano dietro. Poi cominciammo ad osservare questo mondo nascosto dove ora l’acqua era annidata solo tra le onde di sabbia. C’erano alghe, piccoli e grandi granchi, qualche conchiglia e tanti paguri dalle forme particolari, ma per la maggior parte a forma di cono. Mamma diceva di stare attente alle tracine ed ai ricci, di non smuovere troppo la sabbia e possibilmente di non pestare nulla che non fosse sabbia.

Man mano che il nostro secchiello si riempiva la passeggiata si stava facendo più interessante. Ormai non guardavamo più l’orizzonte lontano, non cercavamo più di raggiungere l’Isola Verde a piedi, la nostra attenzione era concentrata ad ogni passo che facevamo sulle possibili creature che non ci erano familiari come quelle che incontravamo sotto casa. Mamma e papà invece guardavano sempre più spesso a largo per capire quando cominciava a salire la marea. Infatti guardando indietro per noi bambine la strada fatta era tanta ed il ritorno sarebbe stato lungo, ma soprattutto faticoso.

Ad un certo punto ci imbattemmo in una specie di cetriolo del colore tra il fango e la muffa. Papà ci disse di non toccarlo perché anche se sembrava inoffensivo se veniva calpestato era molto orticante. Presto di questi “cetrioli di mare” cominciammo ad avvistarne sempre di più ed il desiderio di poterne prendere uno come nostro bottino divenne una richiesta continua. Papà con pazienza acconsentì a patto che sarebbe stato l’ultimo pescaggio della giornata, perché la marea stava montando ed il rientro doveva essere rapido.

Cercò di tirarlo su, ma nella pressione con la paletta la oloturia si aprì ed uscirono tutti filamenti lattiginosi nerognoli. Papà lo tirò lontano dicendo che proprio quei filamenti erano noiosi ed urticanti, e che bisognava rientrare. A malincuore ci incamminammo verso casa e sorpresa la casa sembrava così lontana che appena la riconoscevamo sul litorale. Ci voltammo e all’orizzonte il mare stava creando dei leggeri cavalloni di schiuma.

L’impresa ci sembrava più ardua delle nostre forze. Papà ci disse che se cominciavamo a camminare senza perderci troppo nelle nostre esplorazioni saremmo arrivati in tempo. Ma l’acqua stava avanzando; ora cominciava a bagnarci i piedi come sul bagno asciuga e per la paura cominciammo a correre. Così facendo non facevamo molta attenzione a dove mettevamo i piedi e Caterina pestò un cetriolo di mare.

Proprio a lei doveva capitare! Caterina odia tutto ciò che fa parte del mondo marino ad eccezione dei pesci veri e propri; per non parlare di ciò che è appiccicoso e molliccio!.

Subito le si attaccarono questi filamenti al piede e tra la paura del sopraggiungere della marea, il dolore per il liquido urticante, la nausea di queste cose viscide ed appiccicose che non ci pensavano proprio a staccarsi Caterina cominciò a piangere ed urlare, e come atto di protesta estrema si sedette e disse: “Ora da qui non mi muovo più fino a che non sono tutta pulita“.

Mamma cercò di calmarla e di ripulirla come poteva un po’ con la maglietta, con la sabbia, e l’acqua; ma papà intervenne e disse che eravamo troppo distanti per fermarci. Tra tante proteste ci rimettemmo in cammino, ma la marea ora stava avanzando più rapidamente, ormai i piedi erano completamente nell’acqua, e noi cominciavamo a stancarci e camminavamo sempre più lentamente, ma papà ci tranquillizzava dicendo che l’importante era non fermarsi , di stare tranquille, ma soprattutto non fermarci. Se infatti pensavamo solo alla meta finale la difficoltà del percorso si sarebbe affievolita e saremmo giunti a destinazione senza neanche accorgercene.

Mia sorella minore cominciava a perdere il passo così papà se la caricò sulle spalle, qualche passo più avanti, Caterina che fino a quel momento aveva sempre camminato seppure zoppicando, volle salire anche lei in braccio visto che era malata. Ormai mancava poco, bisogna resistere per gli ultimi metri, a camminare anche se l’acqua era arrivata sopra le ginocchia non era una distanza eccessiva, ma se aspettavamo papà e mamma con noi tre che non sapevamo nuotare si sarebbero trovati in difficoltà nell’acqua alta. Io per non essere da meno e perché cominciavo ad avere paura volli essere portata in braccio. Così papà per caricare me e la piccola e lasciare Caterina alla mamma disse che almeno il secchio con i nostri trofei dovevamo abbandonarlo.

Tutto non riusciva a portare e per di più camminando a passo veloce. A malincuore sacrificammo le nostre belle conchiglie, papà e mamma ci portarono a casa giusto in tempo. Come salimmo i gradini della veranda le prime onde lunghe della marea vennero ad infrangersi dietro di noi e a voltarci indietro non potevamo credere che era lo stesso giardino marino in cui avevamo passeggiato fino a poco tempo prima.

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